Le notizie (e le curiosità) dal Sud Est Asiatico #17
4 storie di italiani in Sud Est Asiatico e come la pandemia ha cambiato le loro vite
Questa newsletter è un po’ diversa dalle altre: volevo dare voce ad alcune storie di italiani in Sud Est Asiatico e qui ne troverete 4. Mi piacerebbe raccoglierne altre, quindi se volete raccontarmi la vostra storia o connettermi con qualcuno, scrivetemi pure!
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Grazie, come sempre, di leggere questa newsletter!
Alessia
Filippo Candrini, Jakarta, Indonesia
Se per molti la pandemia ha avuto un impatto negativo sul volume di affari, per Filippo Candrini, Managing Director di HappyFresh Indonesia, un'azienda che consegna la spesa a domicilio, ha significato invece un incremento notevole delle vendite e del personale. "Molte persone che lavoravano nel settore della ristorazione si sono trovati senza lavoro da un giorno all'altro. HappyFresh allo stesso tempo aveva bisogno di più shoppers e riders, così abbiamo assunto molta gente proveniente da altri settori colpiti negativamente dal Covid. La nostra flotta è aumentata di 3 volte rispetto al personale che avevamo ad inizio pandemia e abbiamo lanciato i nostri servizi anche in altre città indonesiane in cui prima la spesa online non era molto comune. Inoltre, per supportare il personale sanitario, abbiamo aggiunto anche l'opzione della donazione ogni volta che si fa il checkout della spesa sulla nostra piattaforma, e partecipato assieme a ONG locali alla distribuire di prodotti di prima necessità' come riso, zucchero, e olio nei quartieri più colpiti economicamente dalla crisi".
Filippo vive a Jakarta con la moglie Indonesiana e ha avuto da poco una figlia. "Quest’estate non riesco a far venire mia madre dall'Italia, ma prevediamo di andarla a trovare a Natale e stare qualche mese lì, tanto ormai lavoriamo tutti da remoto". E mentre in altri paesi del Sud Est Asiatico, molti stranieri se ne sono andati, nella capitale indonesiana non sembra che ci sia stato un fuggi fuggi. "I profili professionali presenti nella città forse sono un po' diversi rispetto ad altri posti, quindi nel breve non ne hanno risentito particolarmente di questa situazione. In più, le leggi per ritornare in Indonesia una volta stati all'estero sono meno restrittive: bastano 8 giorni di quarantena". A Singapore, ad esempio, i giorni di quarantena sono 14 e bisogna osservarli chiusi in una stanza di hotel, senza alcuna possibilità di uscire.
Sui vaccini l'Indonesia è un po' indietro, con solo il 5.4% della popolazione completamente vaccinata. Il vaccino più diffuso è il Sinovac e per ora molti europei non se lo vogliono fare, visto che non è riconosciuto dall'Unione Europea. "Abbiamo iniziato a vaccinare la flotta di riders e shoppers appena possibile, essendo a contatto con il pubblico, e ad oggi abbiamo raggiunto circa il 50% del personale vaccinato. Per il resto dello staff molti si sono vaccinati attraverso il programma governativo con Sinovac o AstraZeneca, altri stanno aspettando nell'ottica di ricevere un vaccino diverso come Pfizer o Moderna nei prossimi mesi".
E anche se al momento Jakarta è di nuovo in lockdown per un aumento di casi dovuto alle celebrazioni per la fine del Ramadam, Filippo è sereno. "Non la vivo male, abitando in una casa con giardino abbiamo la possibilità di “prendere aria” anche in una situazione di lockdown; in più il lavoro sta dando molte soddisfazioni e lavorare da casa mi permette di essere d’aiuto a mia moglie e più presente nelle prime fasi della crescita di nostra figlia. Direi che non posso lamentarmi.”
Martina Calabresi, Singapore
Martina Calabresi, 16 anni come Celebrities Fashion Stylist tra Milano e Dubai, si è trovata ad inizio pandemia a Singapore, dove si è trasferita nel 2019 con la famiglia. A gennaio 2020, quando sono usciti i primi casi di Covid, ha iniziato a cucire mascherine con tessuti divertenti per la scuola di sua figlia.
"Gli altri bimbi vedevano le nostre mascherine e le volevano anche loro. In poche settimane, grazie al passaparola, ero sommersa di richieste. Così ho iniziato a progettare vere e proprie mascherine di cotone che calzassero bene e con elastici regolabili". Nel giro di due mesi, Martina ha creato e lanciato il suo e-commerce, Almaluboutique.com, riscuotendo un bel successo sui magazine di moda locali e internazionali. "Durante il primo lockdown, ho cucito mascherine ininterrottamente dal tavolo della mia cucina e sono passata anche a farle B2B per aziende locali. Dall'estate scorsa mi sono specializzata in abiti tailor-made, con tessuti batik Tulis indonesiani".
AL.MA.LU Boutique ora non offre solo mascherine, ma anche vestiti e sandali e vende i propri prodotti in 13 paesi in giro per il mondo. "Aprire il business a Singapore è stato abbastanza semplice e nemmeno tanto costoso. Il problema è poi mantenere un brand. Singapore a causa della pandemia ha fornito molti aiuti, io essendo expat non ho potuto usufruirne. Fortunatamente il mio prodotto piace a tutti indifferentemente".
Martina e la sua famiglia al momento sono in Italia per una pausa estiva, dopo essere rimasti bloccati nella Città del Leone per 18 mesi. "Ho amato veramente tanto Singapore, ma dopo tutto questo tempo chiusa nel Paese, mi trovo un po' in crisi. Inizialmente la produzione era tutta Made in Singapore, essendomi spostata per l’estate in Italia ho appena lanciato una ready to wear tutta Made in Italy dedicata alla mia terra, la Riviera Ligure".
Giacomo Felace, Vietnam, Indonesia, Italia
Giacomo Felace faceva l'Art Director in un'agenzia di comunicazione ad Hanoi, Vietnam, ed era in procinto di firmare per un'altra prestigiosa azienda internazionale, quando i primi casi di Covid hanno colpito prima la Cina e poi l'Italia. All'improvviso, l'accordo per passare al nuovo lavoro è saltato mentre lui era in Indonesia aspettando l'evolversi delle cose, così ha poi deciso di tornare in Italia.
"Tra febbraio e marzo 2020 la confusione era tanta, ora sono in Italia da un anno e mezzo. Gli amici rimasti in Vietnam, fino a un paio di mesi fa non hanno avuto un grosso impatto sulle loro vite dovuto alla pandemia. Sembrava come se il Covid avesse solo sfiorato il Paese, ma ora sono in semi-lockdown. Il problema principale della comunità expat è che si trova in una situazione di "dentro o fuori". Da una parte molti stanno tornando ai loro Paesi d'origine lasciando il Vietnam permanentemente, mentre altri rimangono in Vientam per paura di non riuscire a rientrare a breve. Da marzo 2020 è sospeso l’ingresso in Vietnam a tutti gli stranieri, ad eccezione di alcune categorie speciali che devono sottoporsi ad una quarantena di 21 giorni."
Da quando è tornato in Italia, Giacomo si è messo in proprio aspettando l'occasione di ritornare all'estero. "Mi sono re-inventato come freelancer, facendo consulenze di branding e comunicazione, ma spero di tornare a lavorare in qualche azienda in Europa o Asia."
Filippo Scaglia, Hanoi, Vietnam
Filippo Scaglia si è trasferito ad Hanoi, in Vietnam, nel marzo 2019 grazie alla stessa azienda legale con cui lavorava a Shanghai, in Cina. Nei 2 anni e mezzo in cui ha vissuto nel Paese la fetta di stranieri è stata decimata. "I criteri per ottenere i visti lavorativi sono cambiati e molti si sono trovati improvvisamente senza un lavoro. Inoltre, uscire dal Paese è praticamente impossibile, perché al ritorno ti aspetta una quarantena di 21 giorni in una delle strutture convenzionate, più 7 giorni di isolamento fiduciario a casa. Non torno a casa da dicembre 2019".
Il Vietnam, inizialmente l'ha gestita molto bene. Era uno dei paesi in cui il numero di casi era pressocché zero, poi c'è stata una qualche falla nel sistema e ora il Paese è in lockdown. "C'era la consapevolezza di non avere i mezzi di curare un numero sostanzioso di malati se il virus si fosse diffuso. Così all'inizio la prevenzione e le misure restrittive hanno fatto sì di avere la situazione sotto controllo, ora c'è un picco, qualcosa deve essere andato storto ultimamente. In generale, però, rispetto ad altri paesi, il Vietnam è riuscito a contenere il numero di casi e di morti. Devo dire che, tutto sommato, hanno svolto un ottimo lavoro".
Al momento Filippo in Vietnam sta bene. "Credo che nei prossimi 5-10 anni, l'Asia sarà sempre più il centro del mondo e il Vietnam in particolare sarà sempre più importante, sta crescendo molto. Vedo tanti giovani che ci credono, che investono, che si lanciano in iniziative e provano a fare qualcosa. È un'ottima rampa di lancio!"
In breve
Se questa estate avete un po’ di tempo libero per guardare qualche bel film Sud Est Asiatico su Netflix, vi consiglio questi. “First they killed my father” è ambientato all’epoca dei Khmer Rouge in Cambogia. Molto duro, ma non duro come il libro, che suggerisco di leggere per capire meglio il contesto. “Shirkers” è un documentario un po’ dark sulla storia un film dark a sua volta. Strano, ma interessante per capire la cultura singaporiana. “Bad genius” è un film thailandese su come copiare agli esami. Molto divertente. Infine, ma questo non è su Netflix purtroppo, “Assassins”, il documentario sull’omicidio a Kuala Lumpur, in Malesia del fratello del dittatore nord coreano. Semplicemente assurdo.
Phuket, un’isola thailandese famosa per le sue spiagge e resort, ha approvato l’entrata ai turisti vaccinati per cercare di alimentare di nuovo il turismo, fonte principale di reddito per gli abitanti. Purtroppo, però ha anche riportato il primo caso di Covid dalla riapertura.
Duterte, il presidente delle Filippine, non è certo famoso per i suoi metodi amichevoli. Così, con solo il 2.9% della popolazione vaccinata e una donazione di 1 milione di vaccini AstraZeneca da parte del Giappone, ha pensato bene di fare il pugno duro. Ha infatti minacciato di arrestare chiunque non si voglia fare il vaccino, accusandoli di non voler mettere fine ad una situazione di emergenza. Il problema, però, è più complicato di così. Le Filippine, come molti altri paesi emergenti, si sono trovati in coda alle liste per gli acquisti dei vaccini, che invece sono stati prontamente comprati da paesi più ricchi. La maggior parte dei paesi più poveri, infatti, hanno accesso ai vaccini cinesi o russi per lo più, lasciando i vaccini “occidentali” a chi ha più disponibilità economica e aumentando il divario tra paesi che potranno ricominciare a vivere una normalità, contro quelli che putroppo dovranno continuare a gestire uno stato emergenziale.
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