Edizione speciale: pena di morte e razzismo a Singapore
Un'edizione speciale su Singapore per raccontare pena di morte, razzismo e emergenza Covid.
L’ultima volta che vi ho scritto era mesi fa. Nel frattempo sono successe un po’ di cose. Dopo più di un anno e mezzo bloccata a Singapore, sono riuscita a venire in Italia. Quando abbiamo deciso di prenotare il volo, non avevamo la certezza di poter rientrare a Singapore, ma grazie a cambi di legge last minute e a non poca burocrazia siamo riusciti ad uscire e a tornare senza troppi inghippi.
Ora vi scrivo da una Singapore che è ancora in quasi totale lockdown, a quasi due anni dall’inizio della pandemia e con l’85% e più di vaccinati. Se in Italia, d’estate, sembrava che il Covid fosse un lontano ricordo, qui, ancora, è l’argomento più discusso, perché spesso non si riesce a pensare ad altro. Vi parlerò anche di questo in questa edizione speciale, ma anche e soprattutto di due cose: pena di morte e razzismo. Una newsletter non leggerissima, insomma.
Come sempre, se avete domande, curiosità o semplicemente volete fare una chiacchiera, rispondete a questa email.
Grazie di leggermi,
Alessia
Impiccatelo!
Il 10 novembre sarà impiccato a Singapore Nagaenthran Dharmalingam. Nel 2020, causa pandemia, anche le esecuzioni erano state bloccate e per quasi 2 anni nessuno è stato ammazzato. Naga sarà il primo ad essere ucciso dal 2019, anche se molti si stanno opponendo.
Chi è Naga?
Nagaenthran Dharmalingam è un ragazzo malese, di Ipoh, una città poco a nord di Kuala Lumpur. Nel 2009, a 21 anni, attraversa il confine tra la Malesia e Singapore con 42.72g di eroina legati alla coscia. La polizia lo ferma, lui ammette di sapere cosa trasportasse e che un certo “King” gli aveva assicurato che se li avesse trasportati in quel modo nessuno lo avrebbe beccato.
Inizia il processo. Chiunque venga beccato con più di 15 grammi di eroina a Singapore, viene condannato a morte. Ma ci sono delle eccezioni. Se sei solo un corriere o se hai problemi mentali, la pena capitale si può trasformare in ergastolo.
Naga dichiara che “King” l’ha minacciato, dicendogli che avrebbe ucciso la sua ragazza. In altre dichiarazioni dice che l’ha fatto per soldi e per fedeltà alla banda criminale.
L’instituto di salute mentale decide che nonostante abbia un quoziente intellettivo di 69, solitamente indice di ritardo mentale (una persona media si attesta tra 85 e 115), Naga non ha alcuna malattia mentale, né ritardo. Ma in altre perizie psichiatrice, Naga risulta avere anche un deficit di attenzione e dei severi problemi nei processi cognitivi.
Nel 2010 arriva la sentenza: condannato a morte.
Gli ultimi sviluppi
Qualche giorno fa, la prigione dove è detenuto Nagaenthran ha ufficialmente mandato una lettera alla sua famiglia per annunciare il giorno dell’impiccaggione. Come dice una giornalista e attivista locale: “la cosa più brutta della pena di morte è quanto incredibilmente burocratico sia il procedimento”. In questo caso, ancora di più. La lettera è stata mandata qualche giorno prima di Deepavali, una festa indiana molto importante nella comunità Hindu, di cui la famiglia di Naga fa parte. A peggiorare la situazione, i parenti che vorranno vederlo prima dell’impiccaggione dovranno navigare tutta la burocrazia e i regolamenti super restrittivi dell’emergenza Covid, sia all’entrata a Singapore, che al loro ritorno in Malesia.
Da un calcolo approssimativo, il costo per 2 persone tra quarantene in hotel, voli, test, vari permessi e taxi speciali sarebbe di 10.000 dollari, attorno ai 6.700 euro. Ovviamente tutto a carico dei familiari, che dovranno anche gestire e pagare i funerali in tempo per l’esecuzione. Per ora, é il fratello ad essere arrivato a Singapore e a visitarlo ogni giorno in prigione. Dice che è confuso, non ha bene la cognizione di dove sia, né di cosa lo aspetti a breve.
Nel frattempo, una campagna di crowdfunding è stata lanciata e più di 17.000$ sono stati donati. Gli attivisti hanno lanciato anche una raccolta firme. La pena di morte per chi soffre di malattie mentali, infatti, è contro i diritti umani e Naga con il suo 69 di quoziente intellettivo, il deficit di attenzione e i problemi cognitivi che ha dovrebbe essere riconosciuto come tale.
Uno spiraglio di speranza intanto si è aperto: il pomeriggio dell’8 novembre, due giorni prima della data stabilita per l’impiccaggione, ci sarà un ultimo appello alla Corte.
Sei razzista! No, tu di più!
A Singapore vige una legge contro chiunque attacchi la cosiddetta “racial harmony”, l’armonia tra le varie razze (vengono chiamate proprio razze) presenti nella città-stato. La stragrande maggioranza della popolazione è di etnia cinese (76%), seguita da malesi (15%), indiani (7.5%) e altre minoranze. Molte sono le differenze, sia religiose che culturali tra i cittadini della stessa nazione, e il governo è da anni che cerca di costruire un’identità singaporiana che sia valida per tutti, senza cancellare nessuna di queste culture.
Eppure, come spesso succede in questi contesti, l’equilibrio è precario e basta poco a far scoppiare la miccia. Per questo esiste questa legge, che condanna sul lato penale, chiunque attacchi e crei un senso di inimicizia o odio tra le diverse razze.
In questi ultimi giorni, sempre poco prima Deepavali, una festa indiana molto sentita, Subhas Nair, un artista locale di etnia indiana, è stato chiamato per il primo appello del processo in cui deve rispondere per 4 accuse di incitamento all’odio tra razze secondo il governo.
Tutto è cominciato 2 anni fa, quando Subhas ha risposto in maniera ironica ad una pubblicità di cattivo gusto in cui si utilizzava un attore di etnia cinese per interpretare un cinese, un malese e un indiano colorando la faccia di marrone. Questa pratica si chiama brown face, ed era molto usata anni fa per fare interpretare ruoli di indiani a persone non indiane scurendo il colorito della pelle, causando una mancanza di rappresentanza appropriata e mostrandone solo un aspetto eccessivamente stereotipato. Nel video, Subhas e sua sorella Preeti, usando come sfondo la pubblicità con l’attore dipinto da indiano, rappano diversi stereotipi razzisti in modo ironico e nel ritornello dicono “Chinese people always fucking it up”, come a dire che fanno sempre danni. Alla polizia non piace l’ironia. Si beccano una denuncia, il governo chiede la rimozione del video e una scusa ufficiale. Anche l’azienda della pubblicità si scusa. Subhas e Preeti però per i 24 mesi successivi non possono dire niente che inciti l’odio tra razze, altrimenti si va in tribunale.
Nessuno dei due sta zitto. Cercano di trovare modi meno diretti di comunicare le differenze tra razze che esistono a Singapore. E per un po’ ci riescono.
Poi Subhas commenta un omicidio di un uomo indiano per mano di un gruppo di cinesi. Dice che ad uno in particolare é stata data una pena minore, proprio perché cinese, se fosse stato un’altra razza non avrebbe avuto lo stesso trattamento. Arriva un’altra denuncia. Dice la stessa cosa alla presentazione del suo nuovo disco, poi pubblica un altro video, simile a quello che era stato obbligato a cancellare, per commentare un altro fatto di cronaca dove un signore cinese insulta una coppia mista (cinese/indiana) perché non dovrebbero stare insieme. Nel video mostra diversi episodi razzisti avvenuti a Singapore a discapito delle minoranze indiane e malesi, li critica, sempre ironicamente, per dare luce al razzismo vigente ancora nella società della “racial harmony”. Arriva l’ultima denuncia: Subhas sta chiaramente incitando l’odio tra le razze e ne dovrà rispondere penalmente, rischiando fino a 3 anni di carcere per ogni accusa. In totale ha 4 accuse.
Il problema di fondo rimane: come si fa a fare attivismo contro il razzismo a Singapore senza che la polizia pensi che si voglia fomentare l’odio tra le razze? È difficile, e si rischia che molti non parlino più.
Subhas e Preeti Nair, il giorno della prima udienza in tribunale. Subhas indossa una maglietta con la faccia di Nagaenthran Dharmalingam, che dovrà essere impiccato il 10 novembre per spaccio di droga. Entrambi i fratelli sono attivamente coinvolti nelle campagne per risparmiare la vita del ragazzo.
Non ancora new normal
Dopo quasi 2 anni dall’inizio della pandemia, speravo che questo argomento non dovesse più entrare nella newsletter. E invece eccoci qua.
Dall’Europa non si capisce bene come possa essere la situazione qui, dove ogni paese è a se stante e non ci sono né confini aperti (grazie Schengen!), né dei veri e propri accordi istutuzionali per uscirne tutti insieme (grazie Unione Europea!). In Sud Est Asiatico, siamo quasi tutti ancora chiusi in vari gradi di lockdown, solo la Thailandia e Singapore fanno entrare (pochissimi) turisti vaccinati provenienti da (pochissimi) specifici paesi, e la percentuale di vaccinati varia moltissimo a seconda della ricchezza del paese in questione.
Dal mio punto di vista personale, se in Italia l’aria che si respirava era quella di normalità (o nuova normalità come tanto ci piace chiamarla), qui a Singapore la normalità sembra solo un ricordo lontanissimo. Bisogna stare attenti a quante persone si invitano a casa (2 per volta massimo), a quanti si va al ristorante a mangiare (sempre e solo 2, non importa se dello stesso nucleo familiare), mascherina sempre sia in luoghi aperti che in luoghi chiusi, e check in per il tracciamento in ogni posto dove si entra con l’app governativa. In più, per uscire o rientrare nel paese, c’é una quantità di burocrazia da smazzarsi non da poco, che molti semplicemente rinunciano a priori e altri prendono solo il volo di andata per non ritornare indietro mai più.
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